La signora Alba Maruri Granda, di 74 anni, venne ricoverata agli inizi di Marzo nell’ospedale Albert Gilbert Pontòn di Guayaquil, in Ecuador, a causa di febbre alta e difficoltà respitorie. Un mese dopo l’ospedale chiamò la famiglia per dare il tristo annuncio: la signora Maruri era morta, probabilmente di Coronavirus. Il corpo fu immediatamente cremato e le ceneri inviate alla famiglia. Un mese dopo però, la mattina del 24 Aprile, la sorella ricevette una telefonata: “vienimi a prendere, sono in ospedale, sono viva”…
Sembra l’inizio di un racconto di Gabriel Garcia Marquez, simile a quelli contenuti ad esempio nella raccolta “doce cuentos peregrinos”, una storia intrisa di realismo magico, un evento sovrannaturale. Ma in realtà non è niente tutto di questo. Si tratta invece di un bizzarro caso di riconoscimento errato da parte dell’ospedale. A seguito di questo fatto, è’ stata necessaria una squadra composta da un’assistente sociale, da un medico e da uno psichiatra per spiegare alla famiglia della signora Alba l’incredibile errore di cui era stata vittima.
Un fatale scambio d’identità
La famiglia aveva trascorso l’ultimo mese con le ceneri della presunta vittima in casa, aspettando il momento adatto per poterle seppellire. In Ecuador infatti, come in molti altri paesi, non è possibile celebrare i funerali a causa del Coronavirus. Nessuno poteva immaginare però che la loro cara fosse in terapia intensiva in ospedale. Una volta ripresa conoscenza, ha subito dichiarato il suo nome ai medici e si è fatta dare un telefono per chiamare la sorella e farsi venire a prendere. L’errore è stato probabilmente dovuto ad una confusione tra i nomi e ad oggi non si sa ancora di chi siano le ceneri. L’equipe medica incaricata di portare la notizia alla famiglia si è chiaramente scusata e ha cercato di dare spiegazioni. L’increscioso errore sarebbe imputabile al momentaneo stato di caos in cui vige l’ospedale a causa dei tantissimi casi di Coronavirus da affrontare.
Il nipote, Jaime Morla, aveva persino effettuato un sommario riconoscimento, ma dovendo rimanere a distanza di un metro e mezzo per non rischiare il contagio, deve essersi evidentemente sbagliato. “Avevo paura di vedere il cadavere” – ha dichiarato – “era a un metro e mezzo di distanza, aveva gli stessi capelli e lo stesso colore della pelle di mia zia”. Simile il racconto della nipote, Laura Morla Maruri: ci mostrarono il cadavere, però riuscimmo a vedere solo una chioma bianca, perchè ci dissero che non potevano avvicinarci.
I parenti, particolarmente scossi dal lutto che pensavano di aver subito, gridano al miracolo. La famiglia, ovviamente felice di poter riabbracciare la signora Morla, ha però chiesto all’ospedale il risarcimento dei costi di cremazione e i danni morali.
La situazione del Coronavirus in Ecuador
L’Ecuador è in questo momento nel pieno della pandemia del Coronavirus. Guayaquil in particolare, e la sua provincia Guayas, sono le zone con il maggior numero di casi nel paese. Solo qui si sono registrati oltre 15000 casi ufficiali di contagio e i numeri potrebbero essere molto più grandi. L’emergenza ha creato gravi problemi al sistema di gestione della salute pubblica e ne ha evidenziato i difetti. La situazione è letteralmente fuori controllo. Una delle conseguenze peggiori è stata l’impossibilità di raccogliere e identificare i cadaveri, come ormai tristemente noto a livello internazionale. Le famiglie sono costrette ad abbandonare i morti in strada, per non doverli tenere dentro casa. Ci sono ad oggi più di 8000 morti irregolari nella sola Guayaquil, e decine di cadaveri dispersi. Così scrive Emiliano Guanella, inviato del quotidiano La Stampa
La sindaca Cynthia Viteri ha chiesto al governo di Quito l’autorizzazione per rimuoverli e ha allestito quattro grandi container per conservarli in attesa di trovare spazio nei cimiteri. All’inizio è circolata l’ipotesi di gigantesche fosse comuni, ma le proteste dei famigliari hanno fatto cambiare idea e da mercoledì una squadra speciale è al lavoro giorno e notte per scavare nuove fosse nei camposanti. Dal cimitero Parque de la Paz escono ogni giorno quattro auto che setacciano la città per ritirare i cadaveri, seguendo spesso le indicazioni della Moncada.
La quarantena in Ecuador
Per via dell’altissimo numero di contagiati e del totale collasso del sistema sanitario, la quarantena in Ecuador è più rigorosa che in molti altri paesi. A partire dalle ore 14 vige un vero e proprio coprifuoco ed è possibile uscire di casa solo in situazioni di estrema emergenza. Le automobili possono circolare solamente una volta a settimana, con un’alternanza scandita dall’ultima cifra della targa. La quarantena probabilmente è arrivata con colpevolevo ritardo. Ma non solo, i laboratori pubblici e privati riescono a fare non più di 1400 test al giorno, troppo pochi in rapporto al numero di contagiati e di morti giornalieri.
Credo che le misure di isolamento sociale siano importanti e necessarie. A prescindere da questo, rimane il fatto che molte famiglie a Guayaquil non siano preparate ad affrontare la quarantena. La città è la capitale economica dell’Ecuador, snodo commerciale del traffico nazionale e internazionale. Qui c’è anche uno dei porti più grandi del paese, un paese tra le altre cose ancora in via di sviluppo, dove sono ancora diffuse forme di lavoro informale. Queste attività mantengono molte famiglie che si sono trovate conseguentemente in difficoltà. Sono state prese delle misure come dei buoni contro la povertà o la consegna di generi alimentari. Queste non hanno impedito a molte persone di uscire per cercare di lavorare ed in certi casi di infettarsi. E’ necessaria una consapevolezza ancora maggiore su come agire durante la pandemia e una maggiore organizzazione a livello sanitario, sociale e finanziario.